Curioso libro quello di Emanuele Felice, responsabile economico del PD, “Perché il Sud è rimasto indietro”.
Il titolo è ambizioso e con la speranza di avere finalmente qualche risposta l’ho letto. All’attualità visto che quest’anno si celebreranno i 160 anni dall’Unità.
Il divario Nord Sud in numeri
Per esaminare l’andamento storico del divario Nord – Sud Felice produce una tabella con il PIL per regione che parte dal 1871 (vedi figura 1). Si rende evidentemente conto che l’Unità d’Italia, almeno per il Mezzogiorno, risale a dieci anni prima e quindi si sente in dovere di spiegarci che avere i dati al 1861 è impresa praticamente impossibile e che “No, sarebbe un esercizio poco serio e quindi risparmiamocelo”.
A quel punto, mancando i dati dei primi dieci anni dall’Unità d’Italia, vi direte che il libro diventa inutile ma di questo ne è consapevole anche Felice. Quindi fa “l’esercizio poco serio” e con un insieme di teorie e citazioni afferma che sicuramente dieci anni prima, nel 1861, il divario Nord Sud era maggiore di almeno 10 punti. Epperò!
Il perché è presto detto: il liberoscambismo favorì l’agricoltura, specialmente in Puglia e nel Vulture, per cui nel primo decennio il divario diminuì.
E il brigantaggio?
Ricordiamo che per quasi tutto il decennio al Sud ci fu uno stato di occupazione militare, le forze piemontesi secondo alcuni storici arrivarono a circa 250.000 tra effettivi dell’esercito sardo e milizie civiche meridionali e vigeva la legge marziale. I morti furono tra i 20.000 e gli 80.000, con una forchetta che va dal 3% a più del 12% della popolazione interessata al fenomeno. Proprio il Vulture ne fu uno dei teatri principali. Tutti gli uomini furono sostanzialmente in armi e nessuno coltivava più la terra. Chi non lo era faceva il brigante o era latitante o nelle patrie galere. Quali furono le cause del brigantaggio? L’attaccamento ai Borbone o la miseria che era diventata insostenibile? Ma se il PIL cresceva, e il divario Nord Sud diminuiva che ragione c’era di diventare briganti? Felice non lo spiega, e al brigantaggio dedica poche righe.
Le commesse pubbliche
Ma ci sono altri fatti che Felice trascura o dimentica. La chiusura delle commesse pubbliche sia ai cantieri navali sia a quelli ferroviari, come Pietrarsa dove nel 1863 i bersaglieri spararono sugli operai in sciopero, a favore dei cantieri del Nord, la vietata espansione del Banco di Napoli al Nord e invece l’espansione della Banca Nazionale al Sud, l’aumento rapido delle tasse per finanziare le spese di guerra, e via dicendo. Tutte cose che dovrebbero avere forte influenza negative sul PIL ma che Felice dimentica.
Ma in ogni caso il salvifico intervento dello Stato Unitario nei confronti del Sud finisce appena si hanno dati credibili, ossia nel 1871 quando inizia la serie storica di dati di Felice.
Il divario aumenta da quando ci sono i dati, prima no
Infatti la Campania, che all’inizio di questa serie, nel 1871, aveva un PIL pro capite di 107, fatta pari a 100 la media nazionale, dopo 20 anni, nel 1891 era al 97%, nel 2009 al 65%. Nello stesso periodo il Piemonte passa dal 103% al 108%, nel 2009 è al 109%.
Insomma secondo Felice nel primo decennio, di cui seriamente, come dice lui, nulla si sa e quindi nulla si potrebbe dire, il Sud fu attraversato da un progresso economico stupefacente, che però, vedi grafico appena iniziano le serie storiche vere invece crolla miseramente e continua così fino, con l’eccezione del periodo 1950 – 1970, ad oggi.
Mafia e camorra
Mafia e camorra hanno avuto una influenza deleteria sullo sviluppo del Sud? Forse sì, ma Felice ci tiene a precisare che mafia e camorra preesistevano allo Stato Unitario. Questa è però una tautologia visto che, come lui stesso ricorda, Garibaldi si appoggiò alla mafia e che a Napoli il 7 settembre 1861 in una notta le guardie diventarono ladri e i camorristi guardie. L’idea che per anni la camorra abbia spadroneggiato a Napoli e la mafia in Sicilia con la gratitudine del neo Stato Unitario e che questo abbia inciso nelle coscienze dei cittadini alimentando la sfiducia nei confronti dello Stato per lui non rileva. La farsa del Plebiscito e lo scioglimento dell’Esercito Meridionale non aumentò di certo l’autorità morale e lo spessore etico dello Stato Unitario. A Napoli i camorristi guidati da Tore De Crescenzo, che iniziò il dialogo con i patrioti in carcere con Luigi Settembrini, divennero poliziotti assaltando i commissariati ammazzando chi fino al giorno prima indagava su di loro. Poi ebbero anche un vitalizio. Un poco come se Totò Riina fosse stato nominato a capo dell’antimafia e avesse ammazzato Falcone e Borsellino. È inutile che storciate il naso perché le cose andarono proprio così.
Certo mafia e camorra preesistevano, ma c’era uno Stato che le combatteva con alterne fortune. Più o meno come oggi. Ma per un periodo ci fu connivenza e la tentazione alla connivenza e allo scambio, grazie a questo peccato originale, spesso ritorna.
Servizi segreti, mafia dei colletti bianchi e corruzione
Tra i peccati originari ricordiamo Filippo Curletti, agente segreto di Cavour che fu mandato in Sicilia, insieme a La Farina, e a Napoli proprio per avere i contatti con la mafia e la camorra. Curletti, da capo della polizia di Torino, fu sotto inchiesta sospettato per essere anche a capo della banda della Cocca. Protetto da Cavour e Farini fuggi dall’Italia con una cassa di documenti tra cui la chiacchierata gestione da Governatore di Farini a Modena.
Altra questione fu la misteriosa scomparsa della rendicontazione della gestione della spedizione dei Mille in Sicilia, con tanto di spese, mazzette e ruberie, tra cui i soldi del Banco di Sicilia, che scomparve in fondo al mare insieme a Ippolito Nievo nel misterioso naufragio dell’Ercole.
Tutto ciò, insieme alla corruzione diffusa con cui fu realizzata l’Unità al Sud comperando generali e funzionari, tanto da far dire a Massimo d’Azeglio “Nessuno più di me stima Garibaldi ma quando s’è vinta un’armata di 60 mila soldati, conquistando un regno di sei milioni di abitanti, colla perdita di otto uomini, si dovrebbe pensare che c’è sotto qualche cosa di non ordinario”.
Ma per Felice a cosa è dovuto l’aumento del divario Nord – Sud?
Felice fa una differenziazione tra modernizzazione attiva e modernizzazione passiva: attiva al Nord e passiva al Sud.
Però è curioso che lui attribuisca ai Borbone la colpa di aver fatto un Sud privo di infrastrutture e di non aver modernizzato lo Stato risolvendo la questione dei demani e degli usi civici.
Intendiamoci se il Sud finì nelle mani dei piemontesi, di là dalle opposte tifoserie, qualche motivo ci sarà stato ma dimenticarsi completamente del fatto che il divario infrastrutturale Nord Sud oggi sia un multiplo rispetto a quello degli Stati preunitari mi pare omissione grave per comprendere le cause del progressivo allontanamento del Sud dal resto d’Italia e d’Europa.
Le terre usurpate
Riguardo alla questione demaniale e delle terre ai contadini è solo nel secondo dopoguerra che si è messo mano alla questione e forse troppo tardi ormai. Perché è avvenuta così tardi? Perché il blocco sociale che al Sud ha voluto l’Unità d’Italia era lo stesso che aveva i latifondi e che usurpava le terre e quindi, insieme a mafia e camorra, anche qui, il neo stato unitario aveva qualche debituccio da pagare.
Garibaldi le terre le aveva promesse e in effetti ci provò. Il 31 agosto del 1860, subito dopo la resa di Ghio a Soveria Mannelli per esempio, emanò un editto che disponeva l’uso del pascolo e della semina nelle terre demaniali della Sila ai poveri e contadini. Andato via Garibaldi il prodittarore della Calabria, da Garibaldi stesso nominato, Donato Morelli che con altri proprietari terrieri di fede liberale aveva appoggiato l’Unità, abrogò l’editto pochi giorni dopo con decreto del 5 settembre 1861. Donato Morelli fu a lungo deputato.
Ancora colpa dei Borbone?
Sarà perché sono un ingegnere e affezionato ai numeri ma mi piacerebbe vedere qualcuno che si prenda la briga di vedere gli investimenti fatti dallo Stato dall’Unità ad oggi in infrastrutture, ossia strade ferrovie aeroporti, scuole, ospedali, al Sud e al Centro e al Nord. E visto che Felice parla anche di modernità e stile di vita mettiamoci anche gli asili nido.
Al Nord abbiamo 30 km di autostrade per 100 kmq, al centro 20 km per kmq e al sud 18. Le ferrovie sono 63 km per 1000 kmq al nord, 59 al centro e 43 al Sud. L’alta velocità si ferma a Salerno, il Sud e le Isole ne sono sprovvisti. E gli asili nido? Zero al Sud. Ancora colpa dei Borbone? Ci sono stati 160 anni per rimediare, mi sembrano sufficienti.
Diamo anche per scontato che l’amministrazione al Sud dei Borbone non fosse eccellente ma se parliamo di divario, come metro di paragone tra Nord Centro e Sud, dobbiamo dire che l’Unità d’Italia non è stato un grande affare per il Sud. I dati di Felice lo conferma: il divario nel 1871 vedeva il PIL del Sud al 90% di quello medio italiano, nel 2011 era al 69% e oggi è ancora più basso.
Se non ci fosse stata l’Unità d’Italia per il Sud sarebbe andata meglio o peggio? Con i se e con i ma la storia non si fa.
E l’emigrazione?
L’unico periodo in cui il divario Nord Sud è diminuito è il periodo che va dal 1950 fino al 1970. Questo Felice lo attribuisce alla Cassa per il Mezzogiorno. Dimentica però che, come oggi i fondi europei, la Cassa del Mezzogiorno forniva risorse sostitutive e non aggiuntive al bilancio per lo sviluppo. Mio padre, all’epoca sindaco di un piccolo paese lucano, si chiedeva sempre irritato perché un edificio scolastico al Nord veniva realizzato con la tassazione ordinaria e al Sud con la Cassa per il Mezzogiorno.
In quel periodo i paesi si vuotavano perché la gente emigrava al Nord. Con le rimesse degli emigrati si compravano elettrodomestici, terreni e si costruivano case perché l’emigrazione da tutti era considerata temporanea. Oggi case e terreni sono abbandonati, nessuno è rientrato ma anzi si continua ad emigrare. Ecco le ragioni dello sviluppo di quel periodo. Altro che Cassa per il Mezzogiorno. Per inciso l’emigrazione al Sud iniziò con l’Unità d’Italia.
Cosa unisce la gestione dei Borbone con quella dello Stato Unitario
Eppure sono proprio i dati di Felice che ci possono dare qualche risposta. La Basilicata e la Calabria erano messe male sia con i Borbone sia ora.
Il punto è proprio nella assenza di infrastrutture nel centro fisico del Sud peninsulare.
Albini, D’Errico e Racioppi, i principali rappresentanti del risorgimento lucano, avevano proprio fatto delle infrastrutture e dei collegamenti tra lo Ionio e il Tirreno la principale causa del malessere della parte più attiva e vivace del Mezzogiorno. Menti purtroppo emarginate dal neo-stato unitario che era troppo impegnato nella repressione del brigantaggio e nella visione militare dei problemi del Mezzogiorno per ascoltare voci diverse. Ha ragione Felice quando dice che la parsimonia dei Borbone nell’uso delle finanze pubbliche per fare le infrastrutture è stata tra le cause della fine della dinastia. Curiosamente però non individua nella parsimonia dello Stato unitario al Sud nel realizzare le infrastrutture la causa del declino del Sud.
La decisione sul tracciato della nuova ferrovia per collegare Napoli con la Sicilia durò più di venti anni, iniziò nel 1861 nel 1878 ancora se ne discuteva. Nel frattempo nel resto d’Italia si costruivano. Più del tempo intercorso tra la costruzione della Napoli Portici e l’Unità d’Italia: tempo stigmatizzato da Felice. Ancora colpa dei Borbone il ritardo infrastrutturale del Sud?
Gli inglesi e Suez
Felice ricorda, quasi di sfuggita, che l’Unità D’Italia fu determinata dagli interessi inglesi. Questi erano legati alla realizzazione del canale di Suez e allo sviluppo delle rotte con l’oriente del Mediterraneo, in concorrenza con quelle inglesi. Lo stesso oggi, con lo sviluppo della portualità del Sud, in concorrenza con il distretto di Rotterdam Anversa, questo potrebbe risorgere.
Conclusioni
Mai come oggi servirebbe esaminare la storia dell’Unità d’Italia perché da quella storia potrebbero venirci insegnamenti su come procedere con l’unione europea e cosa fare per lo sviluppo del Sud.
Quelli che consideriamo mali endemici del Paese e del Sud, mafia, corruzione, camorra, scarsa fiducia nello Stato origina proprio da come l’Unità fu fatta.
Occorre uscire dal pregiudizio e cercare la verità o quella che più si avvicina a questa, ma la storia dell’Unità d’Italia è ancora vista come divisiva e affrontata con spirito da tifosi. Difficile raggiungere una memoria collettiva indiscussa.
In aggiunta se si mette qualche dubbio sul Risorgimento si scatenano reazioni inconsulte e si viene additati come separatisti o leghisti del Sud: sottospecie intellettuale e umana. Affermare l’evidenza di una Storia spesso poco onorevole del Risorgimento diventa politically incorrect, mentre negarne o sottacerne le evidenze ti fa partecipe ai salotti buoni. Felice non fa eccezione, ma di un libro che suona la solita grancassa proprio non se ne sentiva bisogno.
Scopri di più sul mio ultimo libro: Bla bla bla Sud. Perché il PNRR non salverà il Sud e il Paese!