Dire: “Perché la locomotiva del Paese deve ripartire più forte di prima trainando così tutto il Paese e rendendo possibile anche lo sviluppo del Sud” è una fesseria, anche se a dirla, meglio a scriverla al Corrierone, è Giuseppe Conte.

Perché questo è solo uno dei più triti luoghi comuni che da 160 anni provoca il divario tra il Nord e il Sud del Paese e che prima o poi finirà per sfasciarlo perché da 160 anni investimenti pubblici, infrastrutture e persino le spese correnti sono fatte per la quasi totalità al Nord e non al Sud.

Sfido chiunque a dimostrare con i rigori del metodo scientifico e non con le approssimazioni della pubblicistica economica questa fesseria.

È nella realtà uno slogan che serve a quell’arrogante gruppo di potere, che ruota intorno a Confindustria e alla Bocconi e spolpa, come la Fiat, i conti pubblici con cassa integrazione ed altro, e che pretende di pagare salari da fame e senza garanzie e che sempre collettivizza le perdite, privatizzando i guadagni, per poi rifugiarsi in Olanda per pagare tasse di comodo, e che in questo modo giustifica la predazione sistematica di tutto quello che è pubblico: dall’acqua alle autostrade passando per l’etere (vero Berlusconi?) e le reti telefoniche ed elettriche.

Si tratta del gruppo di potere che trepida non per le vittime del crollo del ponte Morando ma per la sorte dei carnefici, che pretende di salvare Alitalia con soldi pubblici e benefici privati, ricordate i Capitani Coraggiosi?, ma che detiene le quote di maggioranza dei principali media e che di fatto è il nerbo di quella oligarchia che non ha avuto pace finché, complici autorevoli sponde, non ha mandato a casa proprio Giuseppe Conte.

Questo gruppo di potere è proprietario di sedicenti prestigiose università, come la Bocconi o la LUISS, che sfornano in continuazione teorie liberiste di comodo per giustificare la irresponsabilità sociale di impresa o la richiesta di concentrare la ricchezza in mano a pochi poiché prima o poi questa ricchezza ‘percola’ negli strati inferiori della società o verso territori più svantaggiati.

Teorie false e datate e messe in discussione da premi Nobel del calibro di Stiglitz, Krugman o Duflo ma mai presi in conto dagli economisti salariati di area liberal, figuriamoci poi dai media del Nord, cioè d’Italia. Una loro lettura non guasterebbe a Buffagni, invece di ripetere a pappagallo lezioni obsolete. Fatto è che da 160 anni al Sud ‘percolano’ solo rifiuti tossici e qualche prebenda, per lo più perline colorate, per rendere complice qualche cacicco locale.

Con la favola che “se parte il Nord parte anche il Sud” hanno giustificato il fatto che non si siano realizzate le infrastrutture, che l’AV si fermi ad Eboli e che al Sud non ci siano neanche gli asili nido. Per non parlare del mancato sfruttamento del potenziale della portualità del Mezzogiorno. Su questo tema Giuseppe Conte  ricorderà il Programma Elettorale del 2019  per le regionali in Basilicata, di cui avevo steso la parte economica, e che, dopo essere diventato la piattaforma elettorale del M5S che egli stesso era venuto in Basilicata a lodare, è stato dimenticato anche nella azione del governo Conte e nelle stesure del PNRR: versione Conte e versione Draghi.

La realtà è che stando ai Conti Pubblici Territoriali la Lombardia per le spese correnti dallo Stato riceve ogni anno intorno ai 19.500 euro per abitante, il Sud intorno ai 13.500 euro anno per abitante: 6.000 in meno, in soli due anni quanto tutto il PNRR! Sarebbe interessante avere studi indipendenti che valutino gli effetti moltiplicatori sul PIL di tale spesa al Nord e al Sud e come e quanto di questi effetti moltiplicatori dipendano dall’assetto infrastrutturale e demografico.

Quindi poiché “se parte il Nord parte il Paese” al Sud zero infrastrutture, zero asili, zero scuole, zero sanità, zero investimenti e zero spesa pubblica. Se poi il Sud arretra la colpa non è nell’assenza di risorse ma perché antropologicamente i terroni sono mafiosi, sfaticati … e poi sono piccoli e neri e il fatto che in Lombardia per le politiche sociali si spendano quasi 7.000 euro anno e in Campania non si arriva a 5.000 questo non rileva sul diverso grado di tenuta sociale delle due regioni!

Però se parte il Nord stiamo a posto anche a Scampia, non subito ma magari tra 160 anni.

Il divario dall’Unità di Italia ad oggi tra Nord e Sud, numeri alla mano, è sempre aumentato e oggi Campania e Sicilia sono, secondo Eurostat, le regioni con il maggior numero di persone a rischio di povertà in tutta Europa. Per la cronaca nel 1871 fatto 100 il PIL medio nazionale la Campania era a 107 e la Sicilia a 94 (Fonte Felice – Vecchi Un. Siena Quaderni economia e statistica 2012 n. 663).

Questa messa cantata noi terroni la sentiamo dalla nascita e non ci crediamo più. Ci siamo già svenati e siamo emigrati ai quattro angoli dell’Universo Mondo per questo.

Però ora il giochino non regge più. Grazie a basi pubbliche numeriche e alla trasparenza, grazie anche alle direttive europee, che solo le piattaforme web consentono una nuova consapevolezza si sta diffondendo.

Capisco l’esigenza di Conte di blandire quel malefico ceppo di potere che da sempre rovina il Paese e che lo ha defenestrato ma sta commettendo l’errore storico del PD che per accreditarsi presso i padroni del Nord dimentica che gran parte della propria base elettorale, è, meglio dire era, al Sud e tra i ceti popolari. Ora non si sa neanche più cosa sia e cosa difenda il PD e i padroni preferiscono Giorgetti a Letta.

Nel 2018 il M5S si sostituì in Basilicata al PD e prese circa il 50% dei voti. E in Lombardia? E a Milano? E quanti ne prenderà in Basilicata e in Lombardia e a Milano quando finalmente si andrà a votare?

Per queste vie Conte non garantirà la rielezione di Buffagni a Milano, amen ce ne faremo una ragione, ma in compenso perderà quel residuo di voti al Sud, già ridotti al lumicino per le tante fiducie tradite.

Io credo che già ora il Sud stia cercando vie alternative e più utili del M5S per il proprio riscatto sia sul fronte politico sia su quello giuridico. La campanella dell’ultimo giro è suonata, poi sarà troppo tardi.

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