PREMESSA
Dopo un lungo periodo di appannamento delle problematiche legate alla cosiddetta “questione
meridionale”, gli scenari che si stanno delineando con gli sconvolgimenti provocati dalla crisi
economico-sociale e dall’emergenza sanitaria ripropongono, in forma ancora più pressante, il
rilancio di tale problematica che richiede, al fine di porre un freno al declino dell’Italia e di far
avanzare la coesione sociale e territoriale, una rinnovata presa di coscienza da parte dell’intera
comunità nazionale.
Se il riequilibrio tra le aree del paese è rimasto impegno disatteso e problema irrisolto, la causa va
ricercata anche nell’assenza di una rappresentanza meridionale limpida e credibile e nella rinuncia
a contrastare la condizione di sudditanza, subalternità e marginalità, a cui è stato spinto il Sud fin
dall’unità d’Italia.
Il meridionalismo omologato alle politiche dettate dagli interessi prevalenti delle aree ricche del
paese ripropone con forza la necessità riprendere una iniziativa culturale autentica ed ampia, che
attualizzi il pensiero e l’impegno degli studiosi e delle personalità del secolo scorso e che, allo
stesso tempo, sia capace di riprendere e riaffermare la valenza della “meridionalità” che in termini
di cultura e di civiltà ha contrassegnato e contraddistinto il Sud nel corso dei secoli, anche in virtù
della sua centralità e di crocevia essenziale nell’area del Mediterraneo.
La “meridionalità” non è solo lo studio delle vicende del Sud a partire dall’unità d’Italia, ma
l’approfondimento e la messa in atto di azioni capaci di diventare progetto politico, sociale,
economico, utile all’intero paese; uno sforzo, innanzitutto culturale, per passare dalla “fase delle
considerazioni” a quella delle “soluzioni”, tanto più innovative quanto più in grado di recuperare
una identità culturale e civile che affonda le radici nel patrimonio di conoscenze e di elaborazioni
che ci è stato tramandato e che aspetta di essere tradotto in progetto politico e sociale in grado di
raccogliere le nuove sfide dello sviluppo partecipato dal basso, dell’integrazione e della
condivisione dei processi economici e sociali, del superamento dei divari, delle disparità, delle
disuguaglianze. Si tratta di recuperare il passato per costruire il futuro, avendo ben chiara la
distinzione con le esperienze negativamente sperimentate di un certo “meridionalismo di
maniera” e “ribellismo di facciata”.
Adesso non è più il tempo per anacronistici ideologismi e sterili personalismi. Adesso è il tempo
della consapevolezza, della partecipazione, dell’integrazione, della condivisione,
dell’autodeterminazione dal basso delle comunità locali e dello sviluppo partecipativo. Adesso è il
tempo di uscire dal ricatto del Pil e di dare valore e spazio ai principi della libertà e della
democrazia, alla solidarietà umana, allo sviluppo a misura di uomo e di natura. Adesso è il tempo
dell’integrazione e della valorizzazione delle risorse anche in termini di genere e di generazioni.
Adesso è il tempo di impastare di nuovo terra e anima, come è sempre stato il Sud con la sua
civiltà.
La Carta di Venosa, Rete Meridionalista interterritoriale e intergenerazionale si prefigge, pertanto,
di contribuire a costruire un nuovo meridionalismo all’altezza delle sfide che i processi in atto
richiedono, e di svolgere un’ampia e diffusa azione culturale e informativa attraverso cui acquisire
la piena consapevolezza della propria condizione.
RIFERIMENTI STORICO-CULTURALI MERIDIONALISTI
La piattaforma culturale meridionalista, nata dall’incontro tenutosi il 9 ottobre a Venosa, basa la
propria azione intellettuale nell’ambito di un riferimento chiaro e preciso a quel meridionalismo
democratico, popolare, per certi versi e per l’epoca rivoluzionario, che all’inizio del Novecento
tentava risolutamente di superare, criticandole aspramente per essere rimaste sul piano delle
congetture teorie, le analisi che, da metà anni Settanta, il napoletano Pasquale Villari della Destra
storica aveva condotto nei riguardi delle politiche governative del primo quindicennio unitario,
discriminanti per il Mezzogiorno, razziste e autoritarie nei confronti delle popolazioni meridionali.
Il meridionalismo moderato liberale di Pasquale Villari, Sidney Sonnino, Leopoldo Franchetti,
Giustino Fortunato, volto in campo sociale alla critica verso l’immobilismo con cui le nuove
istituzioni unitarie avevano lasciato le masse popolari del Mezzogiorno in balia ad un sistema
sociale semi-feudale gestito dal ceto agrario borghese latifondista, non andava oltre la richiesta
utopica tutta racchiusa nel cosiddetto “mito del buongoverno” e non aveva quel respiro politico
profondo capace di modificare i rapporti di forza tra il ceto industriale politico e i ceti deboli e
sfruttati del Mezzogiorno. Un meridionalismo, quello dei “rassegnati, – così venivano definiti gli
intellettuali che si raccolsero intorno alla rivista “Rassegna settimanale” fondata nel 1878 dai
giovani toscani Franchetti e Sonnino – che lo storico Rosario Villari avrebbe correttamente
definito «insolubile nell’ambito della costruzione liberale dello Stato» e di una monarchia sabauda
chiusa nell’ambito dei recinti di un’oligarchia militare e aristocratica che si nutriva di contenuti
gravemente elitari e profondamente illiberali dal punto di vista sociale e politico. Tanto che
Antonio Gramsci, criticando Giustino Fortunato e Benedetto Croce («i reazionari più operosi della
penisola»), li considerava intellettuali a tutela del blocco sociale industriale-agrario affinché «l’
impostazione dei problemi meridionali non soverchiasse certi limiti, non diventasse
rivoluzionaria».
Visto le premesse sopra esposte, risulta chiaro che avviare un nuovo percorso politico-culturale in
funzione di una svolta nelle politiche economiche e finanziare, legate alla irrisolta questione
meridionale e al superamento del divario tra nord e sud dell’Italia, necessita innanzitutto della
definizione di un quadro chiaro e di un riferimento storico-culturale preciso che noi, appunto,
individuiamo nel meridionalismo storico, democratico, popolare che ha visto in Gaetano
Salvemini, ad inizio del Novecento, uno degli elementi più attivi nella rottura e nella critica
radicale al meridionalismo moderato dei “rassegnati, irrisolto nella concezione dello Stato liberale
conservatore, piegato alle visioni autoritarie, illiberali, antipopolari della monarchia sabauda.
«Lo Stato non farà mai nulla, come non ha fatto finora mai nulla»: queste le parole che Salvemini
opponeva ai meridionalisti che fidavano sterilmente nel “mito del buongoverno”, invitando, in
rotta anche con il Partito socialista che avrebbe lasciato nel 1911, alla costituzione di una forza
politica e di un blocco sociale che si prestasse davvero a tutelare gli interessi del Mezzogiorno,
totalmente svincolato da quella Destra storica e da quella Sinistra storica che nel 1882 avevano
unite le forze inaugurando il cosiddetto “trasformismo” a tutela degli interessi del blocco agrario industriale.
Puntando al suffragio universale, pienamente impegnato nella battaglia
antiprotezionista che l’economista salentino Antonio De Viti De Marco aveva da tempo, e per
primo, iniziato agli inizi degli anni Novanta e che troverà intorno al nuovo giornale da Salvemini
stesso fondato nel 1911 le migliori menti e i più valenti meridionalisti progressisti dell’epoca quali
Ettore Ciccotti, Giovanni Carano Donvito, Umberto Zanotti Bianco, lo stesso Giustino Fortunato,
oltre ai giovani Pietro Gobetti, Ernesto Rossi, Pietro Calamandrei. Un meridionalismo popolare e
democratico, che avrà tra i suoi illustri esponenti Luigi Sturzo, Antonio Gramsci, Guido Dorso e che,
perseguitato dal regime fascista, riemergerà dall’oscurità del carcere e dell’esilio nel secondo
dopoguerra, cioè nella stagione più proficua del meridionalismo.
Un meridionalismo al quale facciamo riferimento e che nella prima età repubblicana, oltre che
produttore di idee e di progetti, scende finalmente nel campo della pratica e dell’attuazione
politica grazie alla mobilitazione di intellettuali di varia provenienza, di tecnocrati, di economisti
della Svimez, delle maggiori forze politiche popolari, della formazione di un blocco sociale ed
economico, tutti uniti, concordi, impegnati e convinti che sviluppare e tutelare l’economia del
Mezzogiorno serva a rilanciare lo sviluppo dell’intera Italia.
Ed ecco che la riforma agraria, la Cassa del Mezzogiorno, l’industrializzazione del Sud, nel breve
giro di un ventennio, riducono consistentemente un divario che aveva raggiunto durante il
fascismo i livelli più alti.
Un progetto di risanamento e di coesione nazionale che non sarà portato a termine e che, dagli
inizi degli anni Novanta, sarà del tutto abbandonato in nome di una inesistente questione
settentrionale, inventata dalla Lega Nord, ma di cui devono assumersi la piena responsabilità tutti i
governi e i relativi partiti nazionali che si sono alternati al potere.
La rete culturale meridionalista della Carta di Venosa si propone di ricreare il clima politico culturale
necessario a riproporre all’attenzione della nazione l’irrisolta questione meridionale e di
impegnare in questo tentativo istituzioni, forze politiche, intellettuali, attivisti, associazioni
culturali e di categoria. D’altronde, tutti i temi trattati dai meridionalisti storici a cui facciamo
riferimento, pur essendo decorsi decenni e pur essendo profondamente cambiata la società, sono
tuttora attuali: emigrazione, divario, disuguaglianze, politiche commerciali, lotta alle mafie,
riforma fiscale, infrastrutture carenti, riforma della giustizia, discriminazioni territoriali, apertura di
relazioni con il Mediterraneo, tutela costituzionale dei diritti anche in termini di coesione sociale e
territoriale
Scopri di più sul mio ultimo libro: Bla bla bla Sud. Perché il PNRR non salverà il Sud e il Paese!