Tiro alla fune

L’Europa sopravviverà al MES

Abstract: L’Europa sembra fare fatica a crescere e diventare una Unione effettiva tra i Paesi europei. Pare sempre costantemente ad un bivio tra integrazione e dissoluzione.

Ma ci sono due Europe che si contrastano. La prima è  quella dell’Eurogruppo, dei burocrati e della preminenza del mercato e della finanza sulla democrazia che, per contrappasso, genera il sovranismo.

La seconda è l’Europa dei popoli, della Commissione Europea, del Parlamento Europeo e della democrazia come valore fondante.

Ma, a prescindere da quale Europa prevarrà, le divergenze tra le economie europee stanno lacerando il consenso intorno all’idea stessa di Europa Unita. Tale consapevolezza pare diffondersi all’interno del ceto dirigente più attento e responsabile ma non appare chiaro il percorso attraverso cui far convergere lo sviluppo, specialmente quello dei paesi del Mediterraneo.

Pur supponendo la totale buonafede dei leader che hanno guidato l’Europa dalla crisi del 2008,  Commissione Junker, sino ad ora le politiche messe in atto hanno prodotto una divaricazione incredibile in un tempo così breve tra l’Europa del Mediterraneo e quella del Nord.

Ma le misure previste dal NGEU sono  in grado di far invertire la rotta?

La domanda che dobbiamo porci è se sia possibile riequilibrare le economie europee continuando ad avere un solo centro politico, amministrativo e logistico nel Nord Europa  relegando il Mediterraneo ad ‘un lago stagnante‘ periferico e privo di ogni centralità politica e amministrativa oltre che di ogni infrastruttura utile per lo sviluppo dei commerci.

Finito il Covid – 19 questi temi torneranno intonsi sul tavolo.

Premessa

All’inizio della pandemia, con le improvvide dichiarazioni di Christine Lagarde e l’atteggiamento di chiusura alla condivisione delle sue conseguenze economiche da parte di Germania, Olanda e dei paesi cosiddetti frugali, la polarità dell’Europa  e dell’Euro era scesa al minimo storico.

Sembrava che il Covid – 19 fosse un problema solo degli italiani e che questi ne volessero approfittare per le solite furbizie.

I giornali tedeschi erano pieni di invettive contro il Bel Paese dominato dalla mafia a cui non dare soldi: Die Welt su tutti. Anche quando c’era qualche tiepida apertura, vedi Bild, si sentiva il puzzo della ipocrisia e della carità pelosa: niente di dignitoso. Dal fronte opposto i giornali italiani evocavano e rinfacciavano alla Germania il suo passato nazista.

In quel momento se ci fosse stato un referendum sulla permanenza dell’Italia in Europa forse oggi parleremo di come gestire il dopo euro oltre che il post Covid. Poi qualcosa è cambiato.

La data di svolta è stata l’8 aprile 2020, grazie a un articolo del direttore di Der Spiegel, Steffen Klusmann,  che scosse la Germania e l’Europa. Si capì che eravamo all’ultima spiaggia e la politica Europea, grazie anche al premier Conte che in un intervista sulla TV tedesca e a Die Zelt si rivolse direttamente ai tedeschi, si rese conto che occorreva cambiare rotta.

Facciamo un passo indietro

Joseph Stiglitz, il premio Nobel americano da sempre amico dell’Europa e che come tutti gli amici non le manda a dire, nel 2018 scrisse un bellissimo libro (L’Euro) dicendo cosa occorresse fare per salvarlo.

GDP

Fig. 1: Il fallimento dell’Euro

C’è una cosa che mi ha colpito nell’analisi di Stiglitz: “Ironia della sorte, ai cittadini l’euro piace, ma cresce in loro la sfiducia nelle istituzioni europee, compresa quella alla base dell’euro ossia la BCE“. Il sottotitolo del libro è: “Come una moneta unica minaccia il futuro dell’Europa“.

Il paradosso del libro è ben spiegato: la pessima gestione della moneta unica e i presupposti con cui è stata creata e gestita minano la credibilità delle Istituzioni europee e nazionali perché con i vincoli imposti le possibilità di manovra dei singoli governi e dell’Europa sono molto limitate.

Rispetto all’inizio della pandemia il clima sembra cambiato, ma il Covid passerà e i problemi dei limiti della gestione dell’Euro torneranno prepotentemente alla ribalta.

Giusto per non dimenticare in figura 1 c’è la deludente performance dell’eurozona dal 2008, anno della crisi dei sub-prime, al 2019, anno pre – Covid.

Nel grafico, numeri tra i riquadri, si vede che il PIL di periodo dell’area euro è cresciuto del 24,1% , contro il 38,5% dei paesi europei che non hanno l’euro, il 39,6 % degli USA e il 26,4% dell’ UK. I paesi europei che non hanno aderito all’euro hanno i vantaggi di un mercato unico senza i vincoli della gestione unica della moneta.

Non parliamo della Cina che ha delle dinamiche irraggiungibili, con cui però occorre fare i conti, ma nel nostro mondo di riferimento l’Eurozona è il fanalino di coda.

Le cose vanno ancora peggio se guardiamo da vicino come sono andate le cose all’interno dell’area euro (Figura 2).

Le divergenze hanno scavato un solco profondo tra le economie dell’Eurozona. C’è tutta la drammaticità, arcinota, della Grecia è c’è la giungla delle regole fiscali che fa svettare al 66,6% l’incremento del PIL del Lussemburgo e all’89,9% quello dell’Irlanda.

L’Irlanda destò scandalo per il trattamento fiscale, siglato con patti segreti, riservato ad Apple e altri colossi e con cui superò la crisi. A difesa dell’Irlanda c’è il fatto che l’Europa girò le spalle alle sue difficoltà. Le poche tasse pagate dalle multinazionali all’Irlanda hanno favorito il rilancio del piccolo stato ma sottratto risorse enormi al resto d’Europa. Risorse ben maggiori del modesto costo di un intervento europeo a sostegno della crisi irlandese.

Fig. 2 : le divergenze nell’area Euro

E la Germania ha tratto vantaggi dall’Euro? Sì, ma solo apparenti, perché a ben vedere ha perso, anche se di poco, terreno nei confronti degli USA e dei paesi che, pur facendo parte dell’UE, non hanno l’Euro. Il PIL tedesco è incrementato del 35,4% senza però raggiungere il 38,5% dell’area non euro e il 39,6% degli USA.

Un autentico disastro pagato in aggiunta con l’aumento della disoccupazione e delle povertà in tutta l’Europa del Mediterraneo e anche della Francia.

Ma cosa ha generato questo scempio?

Un piano criminale

Possiamo girarci attorno come ci pare ma la cifra del fallimento è enorme e non possiamo non indagare e far finta di nulla su quali siano state le cause di questo disastro.

E per farlo non possiamo non parlare della Grecia e di come sia stata gestita quella crisi.

Il presupposto ideologico, quello che Stiglitz chiama “neoliberismo delle élite corporative“, che ha minato alla base e scosso le fondamenta della costruzione europea è stato, appunto, il neo liberismo che è stato applicato in modo fideistico ritenendo che l’arretramento dello stato sociale, l’annullamento dei diritti e il taglio della spesa pubblica avesse il potere taumaturgico di riallineare le economie europee.

Gli obiettivi di convergenza sono tutti miseramente falliti, anzi le divergenze sono aumentate pur in presenza di perdite consistenti di diritti e welfare.

Persino nelle statistiche Eurostat i numeri degli obiettivi di convergenza, messi in un primo tempo ostentatamente vicino agli andamenti delle variabili economiche e sociali, salvo mio errore, sono scomparsi, probabilmente per pudore tale era imbarazzante la distanza dagli andamenti effettivi.

In Italia la riforma c.d. Fornero, il Job Act, il massacro del sistema sanitario con tagli continui,  aver penalizzato ricerca e istruzione e annullato gli investimenti pubblici, sono l’esempio più evidente di come non solo siano stati inutili queste riforme e questi tagli ai fini del miglioramento delle finanze pubbliche ma di come queste misure abbiano provocato una lunga recessione da cui ancora non siamo usciti.

Sull’altare del catechismo neoliberista europeo la sinistra ha rinunciato completamente ai propri valori, maturando una avversione alla povertà, esaltando la precarietà dei rapporti di lavoro e negando l’aiuto dello Stato ai bisognosi.

Sotto la pressione dell’Eurogruppo in Italia fu fatto approvare nel 2012 il pareggio del bilancio in costituzione e il Fiscal Compact.

Questo ultimo trattato prevedeva che l’Italia dovesse raggiungere un rapporto Debito / PIL del 60% in venti anni. La flessibilità del trattato era  prevista solo per i paesi più virtuosi. Si è arrivati a deliberare che eventuali scostamenti di bilancio fossero compensati con aumenti dell’IVA, misura che avrebbe rallentato ulteriormente il PIL e aggravato di più la crisi. La formalizzazione di una spirale per cui chi precipitava nel barato non aveva più scampo per uscirne.   All’epoca dell’approvazione il rapporto Debito / Pil dell’Italia era del 125%.

Per raggiungere tale obiettivo sarebbe stato quindi necessario un avanzo complessivo e costante sul PIL di più del 3% annuo per venti anni consecutivi.

Nessun giornalista, che io sappia, ha mai chiesto al professor Monti in quale miracolo sperasse per poter rispettare tale impegno e in base a quali politiche lo ritenesse raggiungibile. Nessuno ha mai chiesto al professor Monti, e ai partiti che lo sostennero, che senso avesse firmare trattati che palesemente erano impossibili da rispettare e che avrebbero finito per mettere continuamente sotto schiaffo dell’Eurogruppo l’Italia.

Quella politica ha generato un trend depressivo che ha investito tutta l’Italia, con peggioramenti vistosi sia dei parametri economici sia di quelli sociali non solo al Sud ma anche al Nord.

Arrow, Diamond, Sharpe, Maskin e Solow, premi Nobel per l’economia, firmarono un appello contro il vincolo del pareggio in bilancio: Obama li ascoltò e gli USA uscirono dalla crisi in un amen.

Altri premi Nobel, sempre per l’economia, come Stiglitz, Sims e Krugman si sgolarono contro i rischi del Fiscal Compact ma l’Eurogruppo, guidato da Jeroen Dijsselbloem, Wolfgang Schäuble e Jean-Claude Juncker, tirò dritto e senza nessuna discussione democratica impose lacrime e sangue a mezza Europa, distruggendo un paese, la Grecia, e spingendo sull’orlo del baratro l’Italia e la Spagna, mettendo in difficoltà la Francia e scrivendo una delle pagine più buie della Storia d’Europa dopo il nazifascismo. Chi pagherà i danni?

Un furore ideologico, anzi una fede assoluta nelle teorie dell’austerità neoliberiste “nonostante le prove incontestabili della loro infondatezza accumulate in oltre tre quarti di secolo“, scrive Stiglitz , e aggiunge: “Non mi viene in mente nessuna depressione che abbia mai avuto conseguenze altrettanto deliberate e catastrofiche“, e ovviamente: “la colpa è della vittima“. Teorie contestate anche dal premio Nobel Esther Duflo nel suo ultimo e bellissimo libro, Good Economics for Hard Times, dove affonda il coltello alla radice: “Una delle idee diffuse è quella secondo cui gli individui sarebbero reattivi agli stimoli economici. Se le imposte crescono, smetteranno di lavorare. Se i sussidi sono più alti, i più poveri preferiranno rimanere a casa. Se le condizioni economiche migliorano nel nostro Paese, tutto il mondo sbarcherà da noi. E così via. Non è vero nulla: non sono questi i motori che muovono le persone. Il che significa che possiamo pagare più tasse, progressive, senza che ciò comporti alcuna catastrofe economica. E possiamo concepire politiche sociali senza farci troppi problemi“. Ma la sinistra e l’Europa sono rimasti alle teorie di Milton Friedman, che fu consulente di Pinochet. La classe dirigente della commissione Junker, uscita dalle università di economia negli anni settanta, molto probabilmente dopo Capitalismo e libertà , del 1962, e Nessun pasto è gratis, del 1978, non ha letto più nulla nonostante le evoluzioni teoriche e pratiche portate avanti da tutti i premi Nobel citati.

Che Duflo abbia ragione lo abbiamo toccato con mano con il governo Monti, a seguito delle sue riforme ci fu un crollo di fiducia nel futuro enorme: i consumi crollarono e aumentarono i risparmi privati e il debito pubblico precipitò. Il grido “lo chiede l’Europa” tappava la bocca a tutti e chi si opponeva era considerato un antieuropeista e nessuno osava dire che “lo chiede l’Europa” in realtà significava “lo impone Schäuble e la Germania, imbevuti della ideologia del catechismo neo liberista” o peggio “imbevuti da un delirio di politica di potenza germanofila“.

A detta dei protagonisti italiani di quella fase politica non era possibile discutere nulla. Berlusconi, per quanto gli si possa essere contrari era stato democraticamente eletto, ma fu fatto cadere da una risatina di Sarkosky e della Merkel. Tutto questo senza le panzer division in piazza del Duomo o Rommel che bivaccasse al Colosseo.

Come testimoniano tutti i protagonisti di quella storia si era dinanzi a una imposizione autoritaria fatta senza nessuna procedura o dibattito pubblico e democratico, che invece avrebbe potuto mettere in discussione la bontà delle scelte fatte.

Una differenza imbarazzante

Fig. 3: Differenza indici di povertà in Europa

La democrazia, nonostante tutti i difetti, è sempre superiore all’autoritarismo a al dominio di oligarchie burocratiche.

Invece la democrazia fu annullata in Europa ad opera di un organismo, l’Eurogruppo, dove in pieno 2000 prevalsero regole tribali da medioevo. La fehida, retaggio del diritto barbaro-germanico, eletta ad arte di governo.

Il risultato è quello che si vede in figura 3, dove il grafico e i numeri dei riquadri evidenziano la differenza con la Germania delle percentuale di persone a rischio di povertà sulla popolazione di età superiore ai 18 anni. Nel 2019 le persone a rischio di povertà in Germania sono state il 3,7% della popolazione con più di 18 anni. In Grecia il 23,9%, ben 20,2 punti in più. Lussemburgo e Olanda hanno fatto addirittura meglio della Germania.

Schäuble disse a Varoufakis che il vero obiettivo di quell’accanimento non era Atene ma Roma e Parigi!

Si pensa che con questi squilibri e questo modo di vedere le cose possa sopravvivere l’Europa? Perdonate la franchezza ma chi lo pensa è un imbecille.

Cosa è l’Eurogruppo

Innanzi tutto è un organismo informale, quindi non ha nessun potere decisionale formale.

Non ha precise regole salvo che il presidente viene eletto a maggioranza semplice. Conta il numero degli Stati partecipanti a prescindere dal peso economico e soprattutto demografico dei singoli stati.

Cosa fanno nell‘Eurogruppo? A leggere la pagina del Consiglio d’Europa relativa all’Istituto discutono, e alla fine delle discussioni emettono un comunicato stampa. Non è dato di sapere con quale meccanismo di voto prendano le decisioni, pare all’unanimità, e, a dire il vero, non rileva neanche visto che trattandosi di un organismo informale non hanno decisioni da prendere poiché le decisioni sono gli organismi ‘legali‘ dell’UE che devono prenderle.

Non essendoci un processo formale di approvazione, come per la nomina del presidente, ogni stato ha un peso uguale all’altro. Il Lussemburgo conta nelle decisioni come, e forse più, dell’Italia perché parte del gruppo dei paesi satelliti della Germania che all’occasione fanno la ola e condizionano il dibattito.

Le riunioni del periodo più tragico furono registrate da Varoufakis, e sono disponibili . Ne emerge una gang band dominata da Dijsselbloem, Schäuble e  Juncker  con i paesi satelliti che facevano sponda interessata e passiva ad ogni vessazione nei confronti dei greci.

I ministri di paesi come Spagna, Italia e Francia chinavano il capo annuendo in imbarazzato silenzio. Giova ricordare che all’epoca era presidente del consiglio il guascone Renzi e ministro delle finanza Padoan: in vigliacco e servile silenzio entrambi.

Tutto questo per dire che un organismo, l’Eurogruppo, privo di ogni legittimità democratica ha imposto un percorso antidemocratico e totalitario all’intera Europa. La mancanza di giurisdizione fu superata facendo firmare il piano nei confronti della Grecia da ogni singolo Stato, un insieme di bilaterali.

Il Parlamento Europeo assistette impotente e pur con mille prudenze bocciò l’operato della Troika.

Qualcuno prova ancora a difendere il suo operato ma, come dice Stiglitz: ‘Ritengo che chi adduce tali argomenti sia in malafede e cerchi di scaricare la colpa del fallimento su chi l’ha dovuto subire“. Insomma se la situazione è questa la colpa è dei greci cha non hanno ben attuato il programma o dell’Italia perché c’è stato poco rigore. A dirlo sono sempre le famigerate élite corporative che detengono il potere sui media e in Confindustria: “Superior stabat lupus longeque inferior agnus!

Nel Medioevo i medici sostenevano che per combattere la peste occorressero autoflagellazioni e salassi e, di fronte al dilagare della peste, sostenevano che sia i salassi sia le autoflagellazioni non erano stati applicati in numero e con forza sufficiente. Così come ora c’è chi sostiene che il rigore, almeno in Italia, sia stato applicato in misura modesta e quindi, per questo, non abbia prodotto il risultato dovuto.

A far parte dell’organismo, oltre ai ministri delle finanze dei singoli paesi, ci sono il Presidente dell’Eurogruppo, il commissario per gli Affari economici, il presidente della BCE e, udite udite, il direttore del MES.

Insomma si è creata una struttura intergovernativa parallela a quelle ufficiali e democratiche dell’Europa, dove invece il voto di un cittadino greco vale come quello di un cittadino tedesco, che formalmente non ha nessun potere ma che è in grado di imporre scelte come quelle imposte alla Grecia, al di fuori di ogni regola e norma.

Un autentico mostro, dominato dagli interessi degli stati più forti e privo di ogni regola, se non quelle tribali del clan e del gruppo di amici degli amici.

Mentre per tutti gli anni ottanta la discussione era su come rendere indipendenti le Banche Centrali dai governi ora la BCE, di fatto membro di un organismo in cui è formalmente uditore ma su cui può esercitare senza contraddittorio la propria influenza o diventarne, come per la crisi greca, il braccio armato,  in questo modo esercita un potere autonomo e privo di trasparenza ed è in grado di ricattare i singoli governi.

La questione dell’Europa di oggi è come fare in modo che i governi non siano più ricattati dalla BCE.

Analogamente in questo modo il MES, che è un organismo burocratico e privo di legittimità e responsabilità politica, assume, in specie con la nuova riforma, un potere autonomo e concorrente con la stessa Commissione Europea.

Gli accordi intergovernativi superano così di fatto tutta la faticosa costruzione democratica europea basata sulla centralità del parlamento, la fratellanza, l’uguaglianza e il rispetto tra i popoli europei.

È evidente che da un organismo dove prevalgono gli interessi dei singoli stati e dove la volontà di alcuni, la Germania, predomina e dove il voto della Lituania, dell’Estonia o del Lussemburgo, con tutto il rispetto, pesa come quello dell’Italia ci si può difendere solo con quello che con disprezzo viene chiamato sovranismo ma che in realtà è la difesa dei legittimi interessi nazionali e delle prerogative dei parlamenti e della democrazia.

In questo contesto il solo proporre una revisione del MES appare come una violazione dei sentimenti democratici degli europeisti più attenti e sensibili e la sua approvazione uno schiaffo all’Europa dei popoli e una sponda ai sovranisti, pienamente legittimati a reagire alla prepotenza dei Paesi del Nord Europa, fagocitati dal pregiudizio e dalla ideologia neo liberista attuata tramite burocrati e organismi burocratici diventati pericolosi per la democrazia come la BCE e il MES.

L’Eurogruppo e il trionfo delle identità nazional

L’Eurogruppo, nato per facilitare il processo decisionale e per favorire gli accordi tra gli stati, in realtà si è trasformato in un organismo dove prevalgono gli interessi nazionali e ha bloccato il processo di riforme necessario per rendere compiuta l’Unione Europea.

C’è un tema latente in tutta questa questione. In Italia, e a fatica e di questo non ne sono completamente certo, ci si può dichiarare contemporaneamente italiani e calabresi, veneti e italiani, romani e italiani. Ma si sa, l’Italia da Dante in poi, come ha sentenziato il Manzoni, è una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor. 

Ma di là della retorica è possibile superare l’Eurogruppo e gli egoismi nazionali con l’attuale assetto europeo? Possono convivere le identità nazionali con l’identità europea? Può in questo contesto svilupparsi la democrazia in Europa o sempre più ci sarà la germanizzazione dell’Europa? Si è avverato l’incubo di Mitterand, Andreotti, Thatcher di una Europa germanizzata e non di una Germania occidentalizzata?

Spesso penso che nella discussione sull’Europa questo tema sia completamente assente, mentre ritengo che occorrerebbe discutere su come destrutturare le identità nazionali eliminando i governi Nazionali e costruendo una Europa delle Regioni. Non più una Germania ma la Baviera, la Sassonia eccetera. Non più l’Italia ma il Sud, il Centro, il Nord Est e il Nord Ovest, la Sicilia e la Sardegna.

Un unico parlamento Nazionale, quello europeo, e i parlamenti regionali. Un unico presidente eletto e una unica lingua: l’inglese. Argomento difficile e forse è prematuro parlarne ma … .

Per fortuna c’è un’altra Europa

L’Europa della mercatocrazia neo liberista, dell’Eurogruppo, del ricatto di Istituzioni fuori da ogni responsabilità politica, come la BCE e il MES, va distrutta perché c’è l’Europa del futuro da costruire e che risponde ai sentimenti dei cittadini realmente democratici ed europei.

Qualcuno troverà forte questa affermazione, ma in realtà si tratta di riportare le istituzioni europee alla norma consolidata dei paesi democratici e che è la regola nel mondo: gli USA, l’UK, il Giappone, e in un tempo recente i singoli stati europei.

Perché se l’Europa è quella rappresentata dagli accordi intergovernativi e dall’Eurogruppo si spera che sovranisti e populisti l’abbattano prima possibile e nessuno ne sentirà la mancanza.

Il campo della Nuova Europa, sino ad ora deserto, si inizia a popolare.

Ursula Von Der Leyen, la prima forse ad aver capito. Fino alla sua presidenza il vero capo dell’Europa è stata Angela Merkel: l’ha quasi distrutta. Non per volontà deliberata ma la Cancelliera  ha fatto quello che i suoi elettori le avevano chiesto: difendere gli interessi e la visione della Germania. L’equivoco è tutto qui. Ha fatto il capo dell’Europa senza alcuna legittimità politica e nella difesa degli interessi della Germania non ha trovato nessuno che la contrastasse perché inopinatamente e contro ogni logica gli altri paesi europei le avevano delegato il compito di guida dell’Europa. Ma se avesse difeso gli interessi europei non sarebbe stata rieletta in Germania: semplice!

Ursula Von Der Leyen ha piena legittimità democratica per essere il capo dell’Europa, essendo stata eletta dal Parlamento Europeo. Fa fatica a conquistare questo ruolo ma il suo coraggio e la sua abilità politica sono, al momento, encomiabili.

Sassoli, inizia a capire, insieme ad Enrico Letta, che il MES va messo sotto il controllo della Commissione Europea, a garanzia di trasparenza e che non sia il braccio armato di uno stato contro un altro. Parole decise anche quelle utilizzate dal vicedirettore dell’autorevole Jacques Delors Centre, pensatoio europeista della Hertie School di Berlino, Lucas Guttenberg. MES non da riformare quindi ma da cancellare. Per il MES Time to go home

Poi c’è il gruppo di economisti che su MicroMega, purtroppo chiusa in questi giorni, fa continui appelli contro il MES e la sua riforma e quelli della rivista  Il Mulino

Insomma la vera battaglia non è tra Europeisti e Sovranisti ma tra Europeisti e Parlamento Europeo da un lato e sovranisti, statalisti, antidemocratici burocrati e Eurogruppo dall’altro.  Sovranisti ed Eurogruppo sono come i due tronchi di una scala portatile: l’uno regge l’altro e viceversa.

Le vere cause della divergenza

GDP

Fig. 4 Distribuzione PIL / abitante in Europa

In ogni caso occorre comprendere a fondo le ragioni strutturali delle divergenze europee.

In figura 4, presa da Eurostat, si vede chiaramente che man mano che ci si allontana dall’area cerchiata in rosso diminuisce il PIL pro capite.

Questo deriva da tre fattori.

Il primo è la centralità politica dell’Europa del Nord. Tutte le istituzioni Europee sono concentrate in un’area compresa tra Bruxelles, Lussemburgo e Francoforte. Ogni singola istituzione ha migliaia di dipendenti e muove significative quote di PIL, e non parliamo di spiccioli.

Non solo ma dalla presenza in un’area così concentrata delle Istituzioni europee deriva una contaminazione culturale molto forte tra le istituzioni stesse e le necessità delle aree su cui insistono.

La seconda, conseguenza della prima, è che quando occorre decidere dove mettere, per esempio, una agenzia Europea si creano delle convergenze tra quegli stessi stati che all’interno dell’Eurogruppo si spalleggiano. Prevalgono le logiche del branco e non della democrazia o della razionalità e all’interno di questo branco nel 2015 si è creata una gang band con tanto di stalkeraggio nei confronti della Grecia.

A causa della Brexit occorreva spostare da Londra l’Agenzia del Farmaco. Dove fu messa?

Ad Amsterdam invece che a Milano a causa della convergenza sulle pretese olandesi, spalleggiate dalla Germania e dalla Spagna di Rajoy che, avendo fatto ricorso al MES, ricambiava il favore alla Germania per aver avuto un trattamento di favore, molto diverso da quello riservato alla Grecia. L’Agenzia del Farmaco vale almeno un miliardo di PIL / anno. Se si fosse avuto a cuore il bilancio e la sorte della Grecia non sarebbe stato il caso di spostare l’Agenzia da Londra ad Atene invece che nella già ricca Olanda?

Ma la logica seguita è stata quella dei clan mafiosi, dove si premia la fedeltà degli affiliati e dei fedelissimi ai mammasantissima.

Povertà in Europa

Fig. 5 Le 10 regioni più povere in Europa

La terza è la centralità logistica che rafforza la centralità geografica della Germania e dei paesi del Nord Europa. Spieghiamo bene questo concetto.

Quando Helmut Kohl  unificò le due germanie chiese contestualmente l’allargamento ad Est dell’Europa. Complice Romano Prodi l’ottenne. Questo allargamento rese la Germania, geograficamente al centro del Nord Europa, anche centro politico.

Ma essere centro politico da solo non basta senza costruire anche un centro logistico che rafforzi l’area. La Germania unificata fece anche un colossale progetto infrastrutturale, a debito, che rafforzò la centralità tedesca.

Dell’allargamento ad Est della Unione Europea ne hanno beneficiato tutti i paesi del Nord Europa. Tutto questo qualcuno pensa seriamente di compensarlo con il Job Act, la riforma Fornero o la riforma della giustizia e dell’amministrazione?

Qualcuno seriamente può pensare che con qualche aggiustamento macroeconomico si possano riequilibrare le divergenze  tra i Paesi d’Europa?

Seriamente possiamo ritenere che i progetti previsti nel Recovery Fund riescano a porre rimedio alla concentrazione politica e logistica del Nord Europa? O che si riesca a riemergere dal baratro in cui siamo senza una seria politica di immigrazione e rilancio demografico? È mai possibile che il tema della immigrazione legale non sia affrontato in Europa e incentivato?

In figura 5, presa da Eurostat, la Campania e la Sicilia sono le regioni europee con la percentuale di persone a rischio di povertà più alta in Europa. Tra le prime 10 anche la Calabria.

Fa tristezza pensare che nel 1860, unità d’Italia, la Campania fosse la regione più ricca d’Italia seguita a ruota dalla Sicilia e dalla Puglia.

Veramente pensiamo che con l’autonomia differenziata o  la fiscalità di vantaggio o qualche incentivo a investire al Sud senza mettere mano alle infrastrutture e recuperando un minimo di centralità nel e del Mediterraneo e nei commerci con il Far East si possa attuare la convergenza tra le economie europee?

Come Die Welt qualcuno in Italia afferma che fare le infrastrutture al Sud significa regalare soldi alla mafia.

Sapete perché molti paesi italiani hanno un ordinale nel nome? Perché questo ordinale rappresenta la distanza della stazione di posta attorno a cui il paese è sorto da Roma, o dalla città più vicina, sulle consolari. Le consolari non sarebbero nate se i Consoli romani avessero pensato che poiché dovevano attraversare foreste infestate da banditi e briganti costruire le strade avrebbe portato un vantaggio a banditi e briganti. Oppure se avessero pensato di costruirle solo dopo la nascita dei paesi. Senza le consolari non ci sarebbe stato ilprograsso economico e la potenza dell’Impero Romano.

Fig. 6 Tempi realizzazione infrastrutture

C’è invece chi nega persino l’utilità delle infrastrutture e delle vie di commercio per lo sviluppo. C’è chi sostiene che prima devono nascere le necessità derivanti dallo sviluppo e poi si possono fare le infrastrutture per soddisfare queste necessità. Un po’ come se Isabella di Castiglia avesse detto a Cristoforo Colombo: “Prima scopri l’America e poi ti dò le caravelle!

C’è anche chi sostiene che, visto che il Sud non riesce a spendere i soldi che già riceve è inutile dare altri soldi. Questo vale per tutto il Paese, grazie anche alle riforme di Cassese, al codice degli appalti di Delrio e alle procedure dell’Aticorruzione di Cantone.

In figura 6 sono riportati i tempi di realizzazione delle infrastrutture nelle regioni meridionali. È vero che questi sono in media più lunghi ma la differenza con i tempi medi italiani non è enorme. Tralasciano la Basilicata e il Molise, regioni molto piccole, la Sicilia impiega meno di un anno in più della media nazionale e le Calabria fa persino meglio.

Si tratta quindi di un alibi visto che per le grandi infrastrutture la media, fonte ANCE, italiana è di 15,7 anni. Però qui c’è il vero punto della questione. Perché c’è sottinteso il vero problema che è: al servizio di quale visione si impiegano i fondi europei e si progettano le infrastrutture?

Perché se la misura del finanziamento è, ad esempio, la mobilità sostenibile si finanziano piste ciclabili in ogni frazione, ma è questo quello che serve? Avere piste ciclabili e stazioni di bici elettriche in ogni paese montano dell’Appennino? Questo serve allo sviluppo e alla convergenza? Alla fine i soldi si spendono solo perché ci sono ma tra mille perplessità sulla utilità delle finalità preposte.

Uno dei limiti della progettazione di fondi strutturali europei è che manca l’incrocio tra le misure e i territori, che sono disomogenei e ognuno con una propria necessità.

Sarebbe molto meglio individuare un progetto simbolo della rinascita economica e dell’Italia e del Sud e finanziare solo quello: il ponte sullo Stretto di Messina, per esempio. A ruota seguirebbero le altre iniziativa.

Lo spread e la concorrenza fiscale in Europa

Oltre ai tre fattori evidenziati ci sono altre due questioni in Europa che accelerano il processo di divergenza tra le economie.

Dello spread ne abbiamo sentito parlare a iosa e tutti i giorni i telegiornali ci informano sull’andamento della spread. Ma cosa è lo spread?

Nella accezione corrente è la differenza tra il tasso di indebitamento del Bel Paese con quello della prima della classe: la Germania. Di fatto è un tasso politicamente pilotato e utilizzato come una clava dalla BCE nei confronti degli stati europei. Che sia pilotato ormai è chiaro a tutti, nel bene e nel male. In questo periodo senza l’intervento massiccio della BCE i tassi italiani sarebbero alle stelle. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Nella crisi greca Draghi fu il braccio armato dell’Eurogruppo annunciando la chiusura delle banche  greche provocando il panico e le lunghe file ai bancomat.

Confronto con la Germania

Fig. 7 confronto tra Italia e Germania

Nei giorni della formazione del governo c.d. gialloverde lo spread schizzava ogni volta che si annunciavano politiche di contrasto alla emergente povertà e non gradite all’establishment europeo neoliberista.

I TG nazionali ogni giorno ci davano conto della pagellina serale: lo spread diminuiva eravamo stati bravi e obbedienti alle direttive, lo spread aumentava e diventavamo cattivi. Berlusconi sentì il fiato dello spread talmente forte che si dimise. Sicuri che fossero i mercati senza nessuna manina? Non è che siccome Berlusconi ci stava antipatico la cosa fosse meno grave!

Nonostante il reddito di cittadinanza e quota 100 però il 2019 è stato l’anno migliore dal 2007 in termini di disavanzo: -1,6%. E allora? Nessun liberista o giornalista commenta questo piccolo miracolo?

In un mercato non condizionato quanto dovrebbe essere lo spread effettivo tra l’Italia e la Germania? In figura 7 c’è un confronto basato su dati Eurostat. Le dinamiche economiche tra l’Italia e la Germania negli ultimi 10 anni sono state tali da allargare a dismisura il divario tra i due paesi e in un tempo stupefacentemente breve.

La Germania è cresciuta del 34,5% in termini di PIL e l’Italia del 9,3%.

Il rapporto debito PIL ha assunto proporzioni allarmanti in Italia e tutti gli indicatori mostrano una divaricazione insostenibile. A questo si è arrivati con le politiche imposte dall’Europa negli ultimi 10 anni e di certo in uno spread unicamente controllato dal mercato se dieci anni fa potevamo ancora tenere botta oggi sarebbe impossibile senza la possibilità di inflazione differenziata o svalutazione.

A questo, secondo Jeroen Dijsselbloem , ci si è arrivati perché “Non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto”.

Ma siamo sicuri che siamo arrivati a questo punto perché siamo incalliti e avvinazzati Don Giovanni ? No, non è così.

Purtroppo a questo punto si è giunti nonostante, o forse a causa, degli enormi sacrifici fatti sin qui.  In figura 8 si vede chiaramente che l’andamento della spesa sociale è stato in aumento nei paesi sedicenti frugali, mentre, e anche qui la Grecia fa scuola, nei paesi in crisi la spesa sociale è diminuita o aumentata molto meno.

Don Giovanni

Fig. 8 L’Europa delle disuguaglianze

L’Europa è sempre più l’Europa delle disuguaglianze. Complice anche lo spread.

Che senso ha avere una unica Banca Centrale senza che questa sia il prestatore di ultima istanza per tutti gli Stati? Che senso ha pagare interessi differenziati, agevolando il compito destabilizzante della finanza speculativa e degli hedge fund, se l’obiettivo è l’Europa Unita?

Come si fa a ritenere che Paesi così diversi tra loro e che nelle periferie europee e al centro di essa si possa avere la stessa politica monetaria e di bilancio?

Ogni volta che vedo i dati della Grecia mi viene da pensare che se li avesse avuti la Germania e, ancora peggio, se la Germania avesse subito le imposizioni della Troika, bomba atomica o no, saremmo già nel pieno della terza guerra mondiale. Dite di no? Io non ne sarei sicuro.

E se a questo aggiungiamo la competizione fiscale di Olanda, Irlanda, Lussemburgo a danno degli altri Paesi europei? Quanto valgono per l’Italia le imposte eluse nei paradisi fiscali europei? Sette e più miliardi anno forse solo dall’Olanda. E poi ci fanno anche la morale.

Insomma tra spread e tasse eluse negli ultimi 10 anni parliamo di almeno 6 – 700 miliardi di euro, in altri termini senza questi effetti il nostro rapporto Debito / PIL sarebbe intorno al 100% nel 2019, 35 punti in meno!

L’obiezione che si può fare è che i tedeschi pagherebbero di più in termini di tassi di interesse. A parte il fatto che tassi positivi consentirebbero agli investitori istituzionali di fare scelte meno rischiose, e quindi andrebbe anche a vantaggio della stabilità dei fondi pensioni tedeschi ed europei alla ricerca di rendimenti, ma quella dei tassi negativi è una patologia di sistema e non una fisiologia.

E cosa accadrà quando torneremo alla fisiologia del sistema?

Infine l’Europa del Nord beneficia già della presenza delle Istituzioni, della possibilità di fare dumping fiscale, dello sforamento dei parametri sul surplus non mi sembra che la mutualizzazione del debito sia tale da riequilibrare tali vantaggi. 

MES vs Recovery Fund

Di fronte a tanti problemi il dibattito pubblico italiano è inchiodato sul MES. Per sostenerlo si usano tre menzogne.

La prima è che non esistono condizionalità. A sostegno di questa tesi c’è la lettera di Gentiloni – Dombrovskis all’allora presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno. Un po’ poco, visto che non è stato riformato nessun trattato e neanche quello del MES. Una lettera di impegno politico e non giuridico e che potrà essere spazzato via al primo cambio di clima. E questo i funzionari del MES lo sanno bene. L’invenzione del MES sanitario, istituzione inesistente, si frange appena si leggono i contenuti del term- sheet di adesione al MES, che richiama tutti i termini di controllo che deve esercitare l’Istituto. Lo spiega puntualmente Guido Ortona su MicroMega, rivista nobile della sinistra italiana di cui siamo ormai dolorosamente orfani.

MES

Fig. 9 Spese eleggibili MES

La seconda è sui 37 miliardi. In Figura 9 la tabella  allegata al term sheet di adesione al MES. Per quanta fantasia si possa utilizzare l’idea che si riesca a finanziare l’aumento degli stipendi ai medici, gli ospedali al Sud, la ricerca scientifica, e trasformare la sanità italiana, falcidiata dai tagli alla spesa pubblica “perché ce lo chiede l’Europa” mi pare impossibile.

I vincoli di eleggibilità al finanziamento sono chiari e dicono che si possono finanziare solo le spese sanitarie relative al contrasto degli impatti del COVID – 19. Per fare un esempio il costo diretto e indiretto delle terapie intensive, non di tutte ma solo quelle impegnate dai pazienti Covid – 19, il vaccino ma solo per il Covid – 19 e la ricerca scientifica ma sempre solo e soltanto per il Covid – 19. Insomma siamo lontanissimi dai 37 miliardi e parliamo al massimo di 5 – 6 miliardi. Chi dice il contrario è o in malafede o parla senza aver letto le carte: tertium non datur. Eppure dovrebbero saperlo bene al Corrierone che, tra i primi, pubblicò il term sheet del MES.

La terza è sul risparmio sui tassi di interesse del debito pubblico. Qui occorre fare un passo indietro e vedere da vicino come è composto il tasso di interesse applicato dal MES. Per farlo ci basiamo, come al nostro solito, su documenti della fonte primaria di informazione. Il tasso applicato si compone di due componenti. Come ci spiega lo stesso MES in una analisi di Kalin Anev Janse.

La prima è relativa al tasso con cui il MES si approvvigiona sul mercato (costo del funding). Questo, a causa dell’ottimo rating dell’Istituto (AAA/Aa1 ) al momento dell’analisi era di – 0,21% per prestiti a 7 anni e – 0,05% per quelli a 10 anni. Al costo del funding va aggiunta la remunerazione dell’Istituto che si divide in tre componenti: margine annuale, upfront fee e service fee. La somma di queste tre componenti varia in funzione della durata tra lo 0,13%e lo 0,14%  annuo e rappresenta il vero costo del finanziamento.

Il motivo per cui il MES ha un rating così buono è perché a garantire la sua solvibilità ci sono gli stati europei che partecipano all’Euro. In altri termini se ci fosse la mutualizzazione del debito il costo del funding del MES rappresenterebbe più o meno lo stesso costo del debito unico europeo o di un ipotetico eurobond.

Il MES in asintesi è una specie di schermo che consente di mutualizzare il debito imponendo però un controllo ferreo, la Troika, sugli stati che ricorrono al ai suoi prestiti. E questo controllo lo paghiamo pure: lo 0,13/14 %.

Per questo motivo è improprio confrontare il costo complessivo del finanziamento del MES con quello dei titoli di Stato ma occorrerebbe confrontarlo con il tasso di indebitamento del debito pubblico mutualizzato europeo. Quindi, nella fantasiosa ipotesi dei 37 miliardi, rappresenta un costo di 500 milioni annui e non un risparmio.

Intendiamoci è più che legittimo il fatto che chi ti presta i soldi voglia esercitare un minimo di controllo, ma una cosa è il controllo della Commissione Europea e una cosa quello del MES.

La commissione è emanazione del Parlamento europeo dove il suo Presidente, Ursula Von Der Layen, è stata eletta con il voto del Parlamento e una cosa il controllo esercitato da un organismo burocratico, emanazione dell’Eurogruppo dominato da Merkel, nel passato Shauble, che sono eletti dai tedeschi e che rispondono all’elettorato tedesco.

Fino alla noia ripeteremo che il MES è un organismo burocratico privo di legittimità democratica e responsabilità politica. Mettere il MES, come suggerito da Enrico Letta, Sassoli e Lucas Guttemberg, sotto l’autorità della commissione farebbe d’incanto svanire la gran parte delle preoccupazioni.

C’è poi un’altra questione sul MES non evidenziata da nessuno.

Il criterio di accesso al MES Pandemico è in base al PIL. Questo comporta che poiché l’Italia partecipa al MES con il 18% delle quote, in linea puramente teorica, se al MES accedessero tutti gli stati l’Italia dovrebbe garantire una somma maggiore di quella che riceve in prestito. Per essere chiari il MES pandemico vale 240 miliardi. Se tutti ricorressero al prestito l’Italia ne garantirebbe più di 43 miliardi. La quota di prestito proporzionale al suo PIL, 2%, a cui l’Italia può accedere è di 36 miliardi.

Inoltre, come previsto dallo statuto del MES, il direttore può chiedere a tutti i Paesi di versare immediatamente e con preavviso di una settimana le quote. Certo dovrebbe esserci un direttore un po’ matto ma, teoricamente, l’Italia si dovrebbe indebitare due volte: la prima verso il mercato per 43 miliardi e finanziare il MES e la seconda verso il MES prendendo in prestito i soldi per gli effetti della pandemia.

Non ci credete: studiate il trattato: è una ipotesi teorica solo perché il MES si finanzia sul mercato con la garanzia dei soci e non chiedendo i quattrini ai soci stessi ma portando al limite i meccanismi dello statuto potrebbe accadere e dimostra quanto sia cervellotica la costruzione di questo istituto e la sua inadeguatezza nella fattispecie del MES pandemico.

Infatti è stato pensato per la solidarietà, nella misura in cui un istituto che a titolo oneroso ti presta dei soldi  può essere ritenuto solidale, nei confronti di piccoli stati. Quando gli stati sono grossi, come l’Italia, il meccanismo frana. Idem per il MES ristrutturato. Salvare le banche con il MES ci può costare il doppio.

Veniamo ora al NGEU.  Vi siete chiesti come mai l’Italia sia il Paese beneficiario della maggiore quota dei fondi NGEU? Semplice: perché i criteri di ripartizione del NextGenerationEU seguono l’obbiettivo di ridurre la divergenza tra le economie dei paesi europei e quindi, oltre alla popolazione, sono: l’inverso del PIL pro capite, tasso medio di disoccupazione negli ultimi 5 anni, il calo del PIL nel 2020 eccetera.

Quando quegli stessi fondi devono essere invece distribuiti in Italia il criterio della ripartizione tra Nord Centro e Sud è in base alla popolazione. Ma questo significa che il Gap di infrastrutture, servizi eccetera tra Nord e Sud rimarrà inalterato e non si genererà nessuna convergenza e quindi in nuce c’è il fallimento di tutto il pacchetto perché se non converge il Sud non converge l’Italia.

Ironia della sorte il complesso di aiuti di 540 miliardi varati dall’Eurogruppo per contrastare gli effetti economici della pandemia (540 miliardi di cui 240 MES, 200 prestiti BEI e 100 SURE) sono a prestito. Insomma è come se dicessimo ai ristoratori, che sono stati costretti a chiudere, invece di ristori ti offriamo un finanziamento oneroso che pagheranno i tuoi figli e in più ti veniamo a controllare il menu!

Il NGEU, voluto dalla Commissione, che invece ha la finalità di rilanciare l’economia e la convergenza economica, ha 390 miliardi su 750 di sovvenzioni e 360 di prestiti.

Davide Sassoli e la cancellazione del debito

In una intervista a La Repubblica del 14 novembre Davide Sassoli, presidente del Parlamento europeo e non un pentastellato qualsiasi, lancia la proposta della cancellazione del debito pubblico derivante dal Covid – 19.

Il ragionamento è semplice: il Covid – 19 ha fatto saltare i conti, i paesi si sono indebitati e in gran parte verso la BCE che è di proprietà dei Paesi dell’area euro perché quindi non annullare i debiti che hanno fatto con la BCE? Se ci trovassimo in una Conglomerate Company gli eventuali debiti che la capogruppo ha con una controllata nel bilancio consolidato sono annullati. Tanto vale cancellarli con un paio di scritture contabili.  Ad una proposta così di buon senso e che avrebbe l’effetto di abbattere il debito nominale dei singoli Paesi che hanno fatto con se stessi, ossia con la BCE, non c’è che da plaudire.

Christine Lagarde non entra nel merito ma sottolinea come l’ipotesi non sia prevista dai trattati,  implicitamente afferma che la questione è politica e non tecnica.

Chi interviene nel merito è invece Carlo Cottarelli che il 17 novembre su La Repubblica ci spiega con un giro infinito di casistiche che non è necessario cancellare il debito perché gli effetti dei debiti con la BCE sui singoli stati sono sostanzialmente nulli. La sua concione su La Repubblica si chiude infatti così: “La cancellazione del debito non è quindi necessaria” perché “Il debito rimarrebbe allora come pura posta contabile e potrebbe essere escluso anche dalle definizioni rilevanti per il rispetto dei vincoli europei sui conti pubblici che, prima o poi, saranno reintrodotti. La Bella addormentata si risveglierebbe con un debito, de  facto, pari al 135 per cento del Pil, quello che aveva prima del Covid.”

Ammetto sono solo un povero ingegnere ma da un punto di vista logico Cottarelli proprio non lo capisco e il Bell’addormentato mi pare proprio lui.

Ci spiega che il debito verso la BCE ha effetti solo e puramente contabili e poi ci dice che non va cancellato? Come se fosse indifferente dire l’Italia ha il 135% di rapporto Debito / PIL oppure che ha il 180% di rapporto Debito / Pil e mettere in nota a piè di pagina un “di cui il 45% nei confronti della BCE che non contano“.

È vero che l’economia è una scienza sociale e come tale opinabile, tant’è che ne possono discettare tutti … persino gli economisti …  , ma quando è troppo è troppo!

In realtà la posizione di Sassoli è per l’establishment burocratico europeo devastante perché annulla di fatto tutta la costruzione fatta sul SURE, sul MES e sui prestiti della BEI.

Frana perché, a differenza del NGEU, l’accordo promosso dall’Eurogruppo, del 23 aprile u.s. del Consiglio Europeo, ossia il pacchetto approvato che prevede aiuti, meglio dire prestiti, per 540 miliardi di euro: 100 attraverso SURE, 200 dalla Banca Europea degli Investimenti e 240 dal famigerato MES , di fatto non servono. Il pacchetto di 540 miliardi del 23 aprile ha la finalità di contrastare gli effetti economici della pandemia ricorrendo a prestiti e non a sovvenzioni.

Sassoli propone di fatto di annullare queste linee di credito con l’annullamento dei debiti della pandemia.

Spero siano chiare a tutti le implicazioni. Per essere il più chiaro possibile il NGEU è un insieme di misure per rilanciare l’economia europea, in specie quella dei paesi che hanno maggiormente sofferto i tagli degli ultimi 10 anni, e questo ha una logica a prescindere dal Covid – 19.

Il MES, il SURE e i prestiti BCE si pongono l’obiettivo di ristorare i danni prodotti dalla pandemia, spese sanitarie, cassa integrazione eccetera, con prestiti e facendo ricadere il costo straordinario della pandemia sulle future generazioni. Occorre che qualcuno avvisi Zingaretti, Renzi e gli altri che da mesi ripetono la litania MES, MES e ancora MES. Che telefonino a Sassoli e si facciano spiegare come va il mondo.

Bisognerebbe avvisare anche Enrico Mentana e altri che o si sostiene il MES, e quindi spalmare le conseguenze della pandemia sulle future generazioni, o si annulla l’impatto economico della pandemia cancellando i debiti relativi verso la BCE.

Non si può sostenere il MES e poi lamentarsi del fatto che i costi della pandemia ricadranno sulle future generazioni.

Il vizietto dell’abbandono del Sud

Sono 160 anni che il Sud viene penalizzato e dove si investe e si spende meno, molto meno, che al Nord. Così a pagina 117 della Bozza del documento Next Generation Italia si legge :”Per quanto riguarda la quota del PNRR afferente alle Regioni del Sud si è utilizzata l’ipotesi che ad esse sia destinato il 34 per cento dei fondi additivi.”  Appunto: “si ipotizza” e non “si decide”, “si determina”, “si farà in modo che”, … ma “si ipotizza”

Europa

Fig. 10 Quale è il centro dell’Europa?

Se l’Europa avesse usato il criterio del Governo Italiano, ossia la ripartizione per popolazione, l’Italia avrebbe avuto non 209 miliardi, tra sovvenzioni per 64 miliardi e prestiti per il resto, ma solo 101 miliardi: meno della metà! Tanto per capirci e per essere chiari l’Italia ha sovvenzioni per 64 miliardi, la Germania per 23 e la Francia 36. Se si fosse usato il criterio italiano per la distribuzione tra Nord Centro e Sud l’Italia avrebbe ricevuto 42 miliardi, la Germania 58 e la Francia 47.

Ovviamente tutti avremmo gridato allo scandalo, perché un Paese già ricco che riceve più soldi per superare periodi di vacche magre è un illogico ed è anche scandaloso e immorale. Avremmo detto: “Già sono ricchi e poi li sovvenzioniamo anche?”

Noi invece consideriamo normale che chi ha più difficoltà, il Sud, riceva meno sia in investimenti sia in trasferimenti dallo Stato. Il mainstream del pensiero dominante italiano, quello del PD, della Bocconi, dei liberisti e dei giornali nazionali, dice che se non riparte il Nord non riparte il Paese e quindi si ‘ipotizza’ che il 34% delle risorse finiscano al Sud ma io “ipotizzo” che saranno molti meno: as usual.

In soldoni: l’Europa ci dà i soldi per il Sud e noi li spendiamo al Nord. E qui dobbiamo dirci la verità: se non ci fosse stato il progetto di unificazione europea forse l’Italia non sarebbe più una e indivisibile.

La desertificazione demografica ed economica del Sud sta arrivando fino al Nord Italia che ha smesso da tempo di essere la ricca cerniera tra il Nord Europa e il Mediterraneo contentandosi di diventare la modesta periferia della Baviera.

In figura 10 c’è l’Europa capovolta. Il senso di questa figura è che è necessario iniziare a vedere i problemi da una diversa angolatura. Un modo per evitare di tenere lo sguardo sempre rivolto al Nord e ricordarci che nel Mediterraneo si incrociano tre continenti e che oggi è un luogo ridotto, come direbbe Henry Pirenne, ad un lago stagnante.

Il NGEU rappresenta un punto di svolta epocale, non privo di controlli ma della Commissione, e per come si sono ripartiti gli importi traspare la consapevolezza che se non si ripristina un  minimo di convergenza tra le economie europee non può sopravvivere l’idea stessa di Unica Comunità.

Ma le buone notizia finiscono qui.

La visione dello sviluppo europeo si declina nelle iniziative italiane nella innovazione digitale e nelle riforme della P.A. e della Giustizia.

Certamente un salto culturale quantico rispetto all’idea del “Don Giovanni avvinazzato” ma che, secondo me, non incide sulla vera questione delle divergenze tra le economie che risiedono da un lato nella perdita di centralità del Mediterraneo e dall’altro che un solo polo politico, amministrativo e logistico, tra le altre cose eccentrico rispetto al baricentro fisico dell’Europa non basta perché non sufficiente a dare opportunità a tutta la popolazione Europea.

Riuscite ad immaginare gli USA senza i due poli di attrazione e sviluppo, uno sul Pacifico e uno sull’Atlantico?

Insomma la vera sfida è lo sviluppo del Mediterraneo in modo da far scendere l’area blu della figura 4 a sud delle Alpi.

Uno sguardo ai numeri del commercio estero

Quando si parla di sviluppo dei commerci con la Cina e il Far East apriti cielo. Per qualche strano motivo questa viene vista come una posizione antieuropea.

Eppure il primo partner commerciale della Cina in Europa è la Germania, con cui nel 2018 ha avuto uno scambio commerciale di circa 200 miliardi di euro, pari al 6,25% del PIL tedesco.

Eppure quando su Amazon ordiniamo una merce qualsiasi che proviene dalla Cina nell’85% dei casi proviene da uno dei porti del Nord Europa come Rotterdam, Anversa, Amburgo eccetera.

Eppure quando una merce che arriva nel porto di Rotterdam, e poi in Italia, l’Olanda trattiene il 25% dei dazi europei, prima della trattativa sul NGEU era il 20%.

Eppure l’Italia ha commerci con la Cina per 44 miliardi di euro scarsi, pari al 2,4% circa del PIL italiano.

Eppure il Canale di Suez è a due bordi e lo stanno raddoppiando.

Eppure l’Italia ha scambi con la Germania per quasi 130 miliardi e con un consistente deficit di circa 12 miliardi, a dispetto di tutti i trattati europei.

Eppure la Cina ha un PIL di 13,6 migliaia di miliardi con un incremento medio pre  – Covid – 19 tale che in tre – quattro anni il PIL cinese incrementa di una misura pari a tutto il PIL tedesco.

Eppure la nuova linea del governo cinese è quella di incrementare i consumi interni.

Eppure i neo milionari in Cina sono in misura tale da essere pari alla popolazione di Germania, Francia e Italia messa insieme e sono in continuo aumento e affamati di status simbol. Il termine Made in Italy vi dice qualcosa a proposito?

Eppure non dovrebbe essere impossibile stabilire accordi commerciali tra Italia e Cina paritetici, in modo da rilanciare l’economia italiana e del Sud: 100 miliardi di import per la Cina sono niente, 100 miliardi per il Sud l’Italia di export in più possono fare la differenza.

Insomma un mercato enorme a portata di mano via Suez e i porti del Mediterraneo, in specie Taranto, da consentire lo sviluppo di gran parte del Sud.

E quindi perché si urla istericamente contro il governo per le Vie della Seta e per ogni viaggetto o telefonata con i cinesi? Se si istaurano rapporti con la Cina è perché si è antieuropei o perché si difendono gli interessi nazionali né più né meno di come fa la Germania o l’Olanda?

Oppure dobbiamo accettare il fatto che la Merkell e la Germania pongano veti su accordi commerciali diretti come accaduto nella crisi greca quando con una telefonata si è impedito un accordo tra Grecia e Cina?

Cosa significa essere parte di una comunità

Stiglitz, nel suo libro L’Euro, ricorda la Brexit e cita la frase di Herman Van Rompury, ex presidente del Consiglio europeo, a proposito della decisione di Cameron di promuovere il referendum.

Ecco la frase: “È stata la peggiore decisione politica degli ultimi decenni“. “Così dicendo“, chiosa Stiglitz, “ha manifestato una profonda avversione per la democrazia” . Cosa direbbe di De Benedetti quando afferma ,a proposito di una possibile vittoria di Salvini alle prossime elezioni: “l’Europa non lo permetterà mai, in un modo o nell’altro, ma comunque Salvini sa di non essere accetto in Europa. Il giorno in cui viene Salvini i rubinetti si chiudono. Non si può essere anti europeo e poi chiedere i soldi all’Europa.”

Non credo che nessuno possa tacciarmi di essere un sostenitore di Salvini e della Lega ma la frase di De Benedetti pone diverse questioni.

La prima è relativa al concetto stesso di Democrazia, di suffragio universale, di rappresentanza. Sono concetti assoluti che non valgono solo quando eletti ed elettori esprimono un parere che piace a De Benedetto o all’Europa o a qualsiasi organismo o all’élite corporativa.

La seconda questione è ancora più delicata perché le ragioni dell’Europa vanno conquistate attraverso il consenso dei popoli e non imposte con il ricatto economico e della BCE. Che triste Europa sarebbe mai questa? Ho citato l’uscita di De Benedetti non perché particolarmente significativa ma perché è il modo corrente di pensare dell’establishment italiano e delle burocrazie europee.

Implica una arroganza intellettuale, peraltro immotivata visti i risultati, e uno spregio per le necessità dei popoli che a lungo andare minano la democrazia.

Le persone votano Salvini perché vedono le loro istanze non soddisfatte, perché hanno paura e perché i poveri in Italia, grazie alle lungimiranti politiche di Monti e seguaci, sono rapidamente raddoppiati.

De benedetti e sodali mi ricordano il ceto dirigente che attorniava Maria Antonietta ,  o lo Zar Nicola II, con una completa perdita di senso di realtà. Maria Antonietta disse “se non hanno pane che mangino le brioches“, De Benedetti, a proposito della necessità del lockdown, dice “Anche a me e mia moglie piacerebbe uscire per mangiare i taglierini al tartufo“.

Ma cosa significa far parte di una unica comunità politica? C’è un bellissimo libro di Joschka Fischer del 2015, Se l’Europa finisce, che lo spiega: “Di regola, questi sviluppi squilibrati vengono compensati da trasferimenti diretti ed indiretti di varia natura da parte di un centro politico, oppure attraverso movimenti migratori delle forze lavoro”, e su questo noi italiani dovremmo saperne qualcosa visto che, per questa via, teniamo insieme l’Italia da 160 anni e più senza mai correggere, con un adeguato piano di infrastrutture, gli squilibri in essere nel nostro Paese, e, nonostante questo, abbiamo avuto e, sottotraccia, continuiamo ad avere forti spinte secessionistiche.

Ma tornando a Joschka “… così, come strumento per combattere le crisi nazionali, rimaneva soltanto la deflazione interna, vale a dire una riduzione della spesa pubblica, comprese le pensioni, i salari e i prezzi.” , poi continua, “In questo modo, questi Paesi sono stati spinti in una spirale discendente in quanto, più si sforzavano di risparmiare, tanto più cresceva il peso del debito pregresso” e conclude “questi Paesi non riusciranno più ad uscire da questa trappola.” Lo scriveva nel 2015, prima delle nefandezze della Troika.  I dati di Italia e Grecia confermano drammaticamente questa analisi. Negli ultimi 10 anni non solo il debito pubblico in Italia è diventato meno sostenibile ma sono raddoppiate disuguaglianze e povertà.

Mettendo insieme fatti di cronaca Fischer lancia il suo atto di accusa, rivolto soprattutto alla Merkel, di non aver voluto dare una risposta europea ma di aver imposto una risposta nazionale alla crisi. “Ed è proprio questo conflitto distributivo che spinge dal basso alla rinazionalizzazione dell’Europa.” Insomma i movimenti sovranisti sono l’effetto e non la causa “dei timori di espropriazione dei ricchi popoli del nord” e di “una politica di austerità priva di prospettiva” che sembra fatta “con scopi punitivi del ricco nord e in particolare dalla Germania.”

Insomma essere parte di una unica comunità significa che tutti i cittadini hanno diritto di rappresentanza, sono uguali di fronte alla legge e che ciascuno ha diritto a servizi minimi, basta leggere il significato e le teorie sul servizio universale, e agli stessi livelli essenziali di assistenza.

Vuol dire anche che tutti i cittadini contribuiscono in funzione delle proprie capacità al bilancio pubblico con una tassazione, quindi, progressiva.

Tutto ciò vale all’interno dei singoli stati nazionali che compongono l’Europa ma finché, figura 8, un cittadino Greco ha una spesa sanitaria di meno di 1300 euro anno e a cui si chiede di ridurla e il cittadino tedesco beneficia di una spesa sanitaria di quasi 5000 euro anno e in forte aumento non si può parlare di una unica comunità.

Attenzione l’Unione Europea non è un obbligo ma passare dagli stati nazionali ad un unico stato implica un allineamento delle condizioni di vita. Non si può prendere il meglio e lasciare il peggio agli altri. La Germania continua  a violare tutti i trattati sugli scambi commerciali ma pretende il rispetto dei vincoli di bilancio, l’Olanda ci fa la morale ma è il refugium peccatorum di tutti gli evasori fiscali. Così non può durare.

Cosa fare?

Dal punto di vista macro economico mi affido al Nobel Stiglitz. Ci sono le cose che ci siamo detti come mutualizzazione del debito, oppure una comune disciplina fiscale e l’eliminazione dei surplus commerciali ma soprattutto, anche lui, sottolinea l’imperativo di riforme e azioni politiche che attuino la convergenza economica.

Ma, come dice Stiglitz, “se anche l’eurozona approvasse tutte queste riforme la piena occupazione e un tasso di crescita elevato non sarebbero comunque garantiti.”

Dal mio punto di vista da 10 anni insisto con la necessità di creare un polo logistico nel Mediterraneo complementare con quello del Nord Europa e una politica di relazioni con i paesi che affacciano nel Mediterraneo e una sana politica di immigrazione.

Ma parlare di Sud Italia e delle sue opportunità e del suo potenziale con le dirigenze politiche e burocratiche dell’Italia e dell’Europa è quasi tempo perso. Il M5S lucano mi chiese un contributo in occasione delle elezioni regionali per definire un piano di sviluppo per il Sud e la Basilicata. In questo piano, recepito nel programma elettorale, c’è la descrizione puntuale delle infrastrutture per sviluppare l’economia del Sud non insulare. Passate le elezioni tutto è caduto nel dimenticatoio.

Eppure il tema della centralità del Mediterraneo, di Suez e soprattutto della assenza di un baricentro logistico nel centro fisico del Mediterraneo era un tema che aveva appassionato la politica del nascente Stato unitario italiano, tanto che la discussione sul tracciato ferroviario tra Napoli e la Sicilia durò un decennio.

Purtroppo, e contro il parere della commissione apposita e del suo relatore, il deputato milanese Antonio Allievi, dopo una discussione durata dal 1861 al 1871 il parlamento scelse il tracciato attuale. Da allora le infrastrutture di collegamento tra il Nord e il Sud seguono le due dorsali, quella adriatica e quella tirrenica, lasciano l’enorme piana alle spalle del porto di Taranto priva di infrastrutture e il centro fisico dell’Italia peninsulare nel deserto.  Le potenzialità dei porti del Mezzogiorno limitata da un entroterra privo di logistica.  Taranto è di fronte a Suez, al centro del Mediterraneo dove si affacciano tre continenti.

Conclusioni

Per quanto lunga e articolata possa apparire questo saggio si tratta in realtà di una visione ancora superficiale e che ha l’unico scopo di diradare un poco la nebbia che copre i nodi di fondo dell’Europa con la speranza che si apra una sana discussione sul futuro del Vecchio Continente: siamo ai titoli. Ho per questo privilegiato gli aspetti comunicativi a scapito della precisione tecnica.

La nuova Commissione, sotto la guida di Ursula Von der Layen, e il nuovo Parlamento Europeo, con Sassoli, lasciano ben sperare aprendo uno spiraglio di speranza sul futuro europeo.

C’è un peccato originale da cui è difficile liberarsi: la costruzione della moneta unica ha preceduto la costruzione politica dell’Europa Unita.

L’Eurogruppo, nato per agevolare il processo decisionale e per unificare le posizioni dei paesi con l’euro rispetto agli altri, di fatto ha bloccato il processo di unificazione politica fomentando il ritorno agli Stati Nazionali.

La pandemia ha dato una scossa alla visione corrente europea stimolando un utile dibattito che ha generato all’interno della Commissione europea un progetto che stravolge le logiche passate: il NGEU.

Il mondo nostalgico del rigore resiste strenuamente anche contro i propri interessi nazionale attorno alle logiche dell’Eurogruppo che per fronteggiare i danni economici della pandemia non ha saputo fare di meglio che riproporre la logica dei prestiti in cambio di rigore. Se questa logica dovesse prevalere assisteremo alla fine dell’Europa.

Il NGEU ha però il limite di non aver correttamente individuato le cause della divergenza. Soprattutto in Italia occorrerebbe una discussione pubblica più articolata di quella attuale.

Qui la versione pdf .

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